Quando mi comunicarono che per motivi professionali sarei dovuto recarmi a Bologna, la mia mente era già lì, all’interno di palazzo Fava per godermi alcune delle più importanti opere del grande Edward Hopper. Egli nacque negli Stati Uniti quasi alla fine del 1800 e a parte dei brevi intervalli in Europa, in particolar modo Parigi, ci visse fino alla sua morte, nel 1967.
Le opere di Hopper hanno la capacità di essere comprese fin dal primo sguardo, senza impegni cerebrali da parte di chi osserva: la silenziosa quotidianità dell’americano medio, spesso raffigurato, è resa inconfondibile dai colori caldi e decisi. Lui amava raccontare così l’America dei primi del “900, insieme a quei tanti fari che altrettanto amava: nelle sue opere se ne trovano a decine.
Io di certo rimango magneticamente attratto dalla luce che riesce a imprimere ai soggetti presenti nel quadro. Prendete quello in copertina per esempio,”Second Story Sunlight”, che è anche uno dei miei preferiti e osservate in che modo così naturale e realistico riesce a regalare alla facciata della casa tutto il sole caldo di quel giorno: quasi si potrebbe intuire anche l’ora in cui le due donne godono, seppur in maniera diversa, di tanta meraviglia. Ecco, era il modo in cui riusciva a usare i colori che mi attrae ,dando loro uno stile malinconico e suadente: questo era il solitario e taciturno Hopper.
Fino al 24 luglio 2016, palazzo Fava, Bologna.
Dandy